Zitti! Zitti che forse ci siamo. Questa
volta Gianfranco Manfredi non tradisce le (mie) attese e non
riavvolge la storia con improvvisi (e improvvidi) ripensamenti.
L'intreccio procede, entrano in scena personaggi interessanti, prima
di tutti Chuang Lai e Goh, rispettivamente capo di un gruppo di
ribelle e il suo uomo di fiducia, quasi a conferma che è da questo tipo di
personaggi che Manfredi tira fuori il meglio per lo sviluppo dell'intreccio. E anche Risto, il
truffatore milanese responsabile della sparizione del padre di Ugo,
rivela un suo spessore. E tutto questo in mezzo allo scenario storico
in cui Manfredi muove con grande abilità personaggi ed eventi. Il
personaggio di Ugo mantiene i suoi difetti di coerenza, ma ormai
prendiamoli come caratteristica e smettiamo di pretendere che sia
diverso da com'è e riusciremo a goderci la vicenda. Accettiamo che
sia il pretesto per viaggiare in un momento storico, denso di
intrighi, dove (questo è il messaggio profondo) niente è semplice,
tutte le relazioni (fra persone, poteri, eventi, ambizioni) sono
complesse e si articolano su più livelli. In questo senso, Ugo è la
cartina di tornasole, che mette in evidenza i contorsionismi delle
tattiche e le ipocrisie dei vari attori politici ed economici.
Il lavoro di Giuseppe Barbati (matite)
e Bruno Ramella (chine) ci offre scene d'azione un po' goffe, ma un'efficacissima resa dei volti, scavati e logorati dalle tensioni, dalle
fatiche e dal peso delle esperienze.
Insomma, se Manfredi mantiene la rotta,
questo è il vero reboot di Casa Bonelli, altro che Nathan Never!
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